Ognuno parla la sua lingua e tutti sono convenuti nella Parrocchia della SS. Trinità per imparare la nostra lingua, la lingua italiana. Il martedì e il venerdì, dalle 17 alle 18,30, tutte le aule del 1 piano sono affollate appunto per le lezioni del corso di lingua italiana per gli immigrati del nostro quartiere.
Quartiere che per la circostanza vede i suoi confini allargarsi a dismisura tanto da perdere i suoi connotati, perché il tam-tam del nostro “corso d’italiano” arriva anche da fuori Roma.
Chi frequenta questa “scuola” un po’ anomala, dove si vuole prima accogliere e poi accompagnare ad inserirsi, anche imparando la lingua, in una realtà così complessa ed articolata com’è quella della città di Roma???
Sono giovani e meno giovani, prevale l’elemento femminile, ci sono i laureati, quelli che hanno studiato ma non molto, e spesso scopriamo qualche caso di analfabetismo.
Anche quest’anno abbiamo avuto la sezione “ragazzi” per aiutare, in particolare, i figli di immigrati che frequentano la scuola media “Sinopoli” ed incontrano difficoltà nel seguire le lezioni proprio a causa della carente o imperfetta conoscenza della lingua italiana.
Quanti sono gli “alunni”, grandi e piccoli che hanno frequentato la nostra “scuola”? Anche quest’anno abbiamo avuto una forte affluenza nel “corso d’italiano” che prevede fino a 3 livelli di preparazione (come dire 3 classi diverse) ed è a ciclo continuo. Ciò significa che ci si può iscrivere ed iniziare il corso in qualunque periodo dell’anno scolastico.
Anche la persona più distratta comprende bene lo sforzo e l’impegno dei 10 insegnanti volontari chiamati a seguire ogni “alunno” tenendo conto del suo livello di conoscenza o non conoscenza della lingua italiana.
Comunque la nostra non è una scuola, anche perché il silenzio delle aule durante le lezioni rasenta la sacralità; non perché siamo in Parrocchia, ma perché gli alunni sono speciali.
Il venire a lezione per molti di loro o è tempo rubato al lavoro, o è comunque tempo prezioso perché sanno che prima imparano prima troveranno lavoro.
I loro volti esprimono grande serietà, preoccupazione per la nuova vita che li aspetta qui in Italia, difficoltà per il lavoro che non trovano, a volte disperazione perché non sanno dove andare a dormire…
Eppure sono lì, diligenti, attenti, un po’ intimiditi.
Quest’ “aura silente” è interrotta dalla vivacità dei ragazzi (loro non sembrano avere grandi preoccupazioni) e dal tono di voce di qualche insegnante che teme il binomio classe=dormitorio.
Più che una scuola è un porto di mare, nel senso buono del termine, porto come rifugio, come salvezza, come possibilità di riposare, fare rifornimenti e poi ripartire col tempo buono.
Ma anche con tutti gli inconvenienti del porto, chi va e chi viene,, chi si ferma a lungo e chi solo per poco.
Ecco, noi siamo a loro disposizione, quando possono venire noi ci siamo, se non possono loro vengono altri.
Il “turn over” è grande, ma i loro problemi ancora di più.
di Maria Carelli Antola